L’inno nazionale, un’eredità culturale mutevole

Simboli d’identità nazionale
Come le bandiere, le capitali, le valute e i giorni della festa nazionale, anche gli inni nazionali sono simboli d’identità. Hanno il potenziale di rafforzare valori e senso civile nell’interno e valorizzare la propria immagine verso l’esterno.

Simboli d’identità nazionale
Come le bandiere, le capitali, le valute e i giorni della festa nazionale, anche gli inni nazionali sono simboli d’identità. Hanno il potenziale di rafforzare valori e senso civile nell’interno e valorizzare la propria immagine verso l’esterno.

Come il Salmo svizzero, la maggior parte degli inni nazionali vennero creati nella metà del 19mo secolo, quando si formarono gli Stati costituzionali. Mentre gli stati e il mondo di allora sono cambiati radicalmente, molti inni nazionali sono rimasti quelli d’un tempo o sono stati cambiati solo in parte. Pertanto, oggi ci si domanda spesso se nell’era post nazionale e globalizzata un inno nazionale serva ancora. Una risposta spontanea: fintanto che esistono i Campionati mondiali di calcio e i Giochi olimpici, dove si confrontano le squadre nazionali, ci saranno anche gli inni nazionali. La cosa però è più complessa. In molti stati spunta una rivalutazione di elementi culturali federali e regionali che creano identità e comunità, proprio a causa della globalizzazione e delle coalizioni transnazionali.

Gli inni toccano spirito, cuore e sensi
Accanto ai nomi delle nazioni, le bandiere, gli stemmi, le valute e le lingue ufficiali, le capitali, le feste e i piatti tradizionali, anche gli inni sono simboli d’identità culturale d’importanza fondamentale. L’introduzione dell’euro il 1° gennaio 2002, causò vivaci dibattiti attorno alla temuta perdita d’identità legata all’eliminazione delle valute nazionali. Le effimere banconote di lire italiane erano parte dell’Italia come il salame, Gucci o la torre di Pisa. Anche gli inni nazionali sono parte importante dell’identità nazionale. In occasione di visite ufficiali di rappresentanti di una nazione e di eventi sportivi internazionali, le nazioni si presentono con bandiere e inni. Gli inni nazionali sono il biglietto di visita verso l’esterno e promuovono il senso della comunità nell’interno. Musica, voci, lingue, testo ed emozioni degli inni toccano i vari sensi e le diverse regioni nel cervello umano. Negli stati più recenti dell’Africa o dell’Europa dell’est, gli inni nazionali sono percepiti persino come una sorta di religione civile.

Differenze di contenuti, forma e qualità
I testi e le melodie degli inni nazionali variano secondo le nazioni. Molti inni basano su musiche di famosi compositori: l’inno dell’ONU di Pablo Casals, l’inno Europeo di Ludwig van Beethoven, l’inno nazionale della Germania di Joseph Haydn e quello dell’Austria di Wolfgang Amadeus Mozart. Molti testi d’inno sono del tipo nazional-patriottico o più costituzionale, pacifico o bellicoso, più religioso che neutrale, nostalgico o visionario, egocentrico o aperto al mondo. Tanti inni decantano soprattutto patria, re e bandiera. Altri sono inni a montagne e fiumi, altri ancora sono nati dopo rivoluzioni e lotte per l’indipendenza e sottolineano pericolo, aiuto e giuramento. I testi più recenti preferiscono valori come libertà, unità e pace. Altre nazioni decantano il proprio paese in forma maschile (Vaterland), mentre l’inno di Sri Lanka dal 1948 decanta il proprio paese come amorevole madre e come un fiore. Gli inni ai re sono predecessori degli inni nazionali. Dal 1745, la Gran Bretagna decanta Kings and Queen. Altri paesi con monarchie hanno due inni. A seconda se il reggente è presente o meno, si canta l’uno o l’altro inno (ad es. nel Lussemburgo, in Danimarca, Svezia e Thailandia. In diverse nazioni, il testo del proprio inno nazionale quale «Bionda aurora» è un inno a Dio, come anche nell’Arabia saudita, in Libia e in Ungheria.

Inni senza testo, una soluzione forzata
Poiché i testi di molti inni nazionali furono scritti oltre cent’anni fa, non esprimono nulla di concreto su una data società e sul rispettivo carattere, sui valori e sugli ideali. Gli inni nazionali sono un’istantanea della storia e dicono molto sul patriottismo, sulla lingua e sulla devozione ai tempi della fondazione dello stato. Mentre le melodie si conservano e piacciono anche dopo secoli, i contenuti e la lingua dei testi risentono molto il passar del tempo. Per questo, molte nazioni man mano hanno sostituito i testi interi oppure li hanno adattato in parte o abolito. Può capitare ad alcuni paesi di dover rinunciare per forza ai testi d’un tempo. In Spagna il testo dell’inno associato al regime di Franco non è più cantato da ormai 70 anni. Dopo la seconda guerra mondiale, la Germania ha cancellato le prime due strofe dell’inno. Dopo la guerra dei Balcani, la Bosnia Erzegovina nel febbraio 1998, per prevenire problemi con i cittadini di lingua serba e serbocroato ha elevato a nuovo inno nazionale una canzone popolare senza testo. Anche l’inno europeo «Inno alla gioia» di Beethoven, tratta dalla nona sinfonia, nel rispetto della pluralità linguistica nell’EU esiste unicamente in versione musicale, senza testo. Pochi anni fa, l’Austria ha riformulato le parti del testo prettamente maschili, rendendole neutrali.

Rinnovare un inno, un processo democratico
Nel 2008, il Comitato olimpico spagnolo ha lanciato un concorso per un nuovo testo d’inno. Sono arrivate oltre 7’000 proposte. Il contributo vincente si sta ora affermando piano piano. Anche nel Libano, nel Messico, in Thailandia e nell’Iran gli inni nazionali sono frutto di concorsi fra artisti. Attualmente sono in corso delle iniziative per un nuovo inno nazionale, fra altro in Francia e in Italia, nel Canada e negli USA. In queste e anche in altre nazioni esistono forti resistenze da parte di certi ambienti che con il cambiamento dell’inno temono di perdere l’identità nazionale e personale. In Svizzera, la democrazia della base ammette iniziative promosse dalla società civile e lascia che crescano adagio, prima che il parlamento, il governo e infine il popolo sovrano decidano il destino d’un cambiamento. Dal 2013, anche il tentativo della Ssup di sostituire il Salmo svizzero dell’anno 1841 con un nuovo testo basato sui valori del preambolo della Costituzione del 1999, segue questo iter dal basso verso l’alto.

La cultura tra tradizione e cambiamento
Si deve ancorare inni e altri simboli culturali d’identità in regolamentazioni e normative giuridiche? Deve la Costituzione oltre a essere una regolamentazione normativa essere anche tutrice dell’eredità culturale, servire da autoritratto culturale ed essere espressione del grado di evoluzione culturale? In molti stati, il nome, la bandiera e lo stemma, la valuta e le lingue ufficiali, le capitali e le feste comandate, come pure l’inno nazionale, sono ancorati nelle costituzioni, e vengono stabiliti con leggi e decreti. In Svizzera, i principali simboli d’identità sono regolamentati in svariati modi. Il nome della nazione «Confederazione svizzera» è stabilito nel primo paragrafo della Costituzione. La definizione delle quattro lingue nazionali segue nel paragrafo 4. I giorni festivi sono regolamentati con delle leggi a livello federale e cantonale. Dal 1891, il 1° agosto è celebrato come Festa federale, ma una vera e propria Festa nazionale del moderno stato federale non esiste. Nel 1848 la Svizzera ha rinunciato volutamente alla definizione Capitale federale. Da allora, Berna è sede dell’Assemblea federale e come tale è città federale. Ma anche questa denominazione non è protetto giuridicamente.

Cambiar gli inni si può
In Svizzera, l’inno nazionale non è ancorato nelle leggi federali. Esiste unicamente la dichiarazione del Consiglio federale datata 1° aprile 1981 che recita: il Salmo svizzero è definitivamente l’inno nazionale ufficiale svizzero… «per l’esercito e per la sfera d’influenza delle rappresentanze diplomatiche all’estero». Talune nazioni hanno ancorato nella legge il testo, la melodia e/o persino il tipo di melodia e il ritmo del loro inno. Altri stati, fra cui la Germania hanno volutamente rinunciato a iscrivere l’inno nella legge fondamentale. In altre nazioni ancora, gli inni possono essere modificati con una maggioranza di due terzi del parlamento. Nei paesi dove regna un’autarchia quali il Sudafrica, il cambiamento dell’inno nazionale è riservato al presidente. La Turchia è l’unico paese dove l’inno nazionale è letteralmente cementata nella costituzione: l’inno non può essere cambiato né sono ammesse proposte di cambiamenti. Le costituzioni delle Filippine (1986) della Mongolia (1992) e dell’Etiopia (1994) hanno scelto un approccio pragmatico che rispetta la tradizione e nel contempo rende possibile l’apertura al futuro. Questi tre stati, da una parte hanno adottato i valori centrali della costituzione degli ultimi 30 anni, dall’altra hanno ancorato nella costituzione che gli inni non sono un bene museale, ma che in caso di modifiche storiche e politiche possono venir cambiati mediante una riforma della costituzione. Nella costituzione filippina, il paragrafo 16, cpv. 2, recita: «Con una legge, il congresso può dare alla nazione un nuovo inno nazionale e un nuovo stemma. Questi devono essere simbolo degli ideali, della storia e delle tradizioni del popolo e vanno sottoposto al referendum del popolo». In fondo anche in Svizzera si potrebbe ancorare l’inno nella Costituzione, senza trasformarlo in un intoccabile oggetto museale. L’importante sarebbe dare alla popolazione sempre l’ultima parola circa eventuali modifiche. Il parlamento potrebbe valutare ogni 25 anni se occorre un cambiamento del contenuto. Oggi, la Ssup si impegna con decisione affinché il testo proposto “Croce bianca su sfondo rosso” di Werner Widmer diventi un giorno il testo ufficiale dell’inno. Anche questo testo però non deve essere intoccabile, ma la sua attualità dovrà all’occorrenza essere verificato.

Lukas Niederberger